IL PD ALLA FINE… DEL 2022

 sondaggio del 19 dicembre della SWG per conto di La7 è impietoso.

Guardiamo subito la tabella presentata in trasmissione e focalizzata sui maggiori partiti.

Fratelli d’Italia sopra il 30%, Lega e Forza Italia in crescita; per un totale della coalizione di Centro Destra pari al 45,7%. Partito Democratico in discesa al 14,7%, Azione-Italia Viva in decrescita, Il M5S in crescita al 17,4%; per un totale del Centro Sinistra di 39,9%.

La Lega è il Partito che cresce di più; il Partito Democratico in discesa libera.

È quest’ultima l’informazione sorprendente di questo sondaggio.

La crisi è, ormai, acclarata. È una crisi di identità, di carenza di idee, di incapacità politica sia di governo che di opposizione.

Un partito dalla lunga e rispettabile storia che non ha trovato più una ragione di esistere dalla caduta del muro di Berlino, pur “rifondandosi” più volte nella solitudine del cambiare nome: insuccesso assicurato.

Infatti, non è il contenitore da rifondare: è il contenuto, i membri.

Un partito del lavoro e dei lavoratori che è diventato partito delle relazioni, del potere, dell’accaparramento di poltrone, della finanza: un partito lontano dal popolo ma espertissimo in “marketing sociale”; un gioco che non poteva durare a lungo e che, prima o poi, sarebbe stato scoperto.

Non è sorprendente che si dubiti che le percentuali di consenso al PD nascano da quella “crosta” di beneficiati, senza ideologia se non l’individualismo, interessati unicamente a posizioni di rilievo ed a una etichetta. Gente abituata a salire sul “carro del vincitore”; gente incapace di mantenersi se fosse lontana dalle risorse pubbliche.

La tecnica vigente è: o sei della “famiglia” o non ti è concessa una etichetta né posizioni di rilievo né attenzione. Essere ignorato è il tuo destino.

Sembra un “Do ut des”, piuttosto che consenso, forse, complicità.

Il PD, con la perdita di potere a valle delle elezioni politiche, ha cominciato a traballare scendendo da un 23% al di sotto del 15%. Molto strano che il segretario Enrico Letta, ritornato in Italia dalla Francia per risollevare un partito già in crisi con la segreteria di Zingaretti, non abbia capito i guai del partito e le motivazioni; anzi, non ha fatto altro che continuare, ostinatamente, l’abusato percorso di criminalizzazione dell’avversario, pur essendo privo di una qualunque reale proposta politica e di un disegno per il Paese.

Non si tratta più di incapacità nel ricoprire certi ruoli; si tratta di totale inadeguatezza politica.

Nonostante la ennesima rifondazione preannunciata nel prossimo Congresso Nazionale del 19 febbraio 2023; nonostante la annunciata candidatura a segretario nazionale di Bonaccini, De Micheli e Schlein, cui si è aggiunta quella di Cuperlo e chissà di quanti altri a venire; nonostante un non indifferente consenso del 14,7%, il PD non incuriosisce più se non nei talk show gestiti da conduttori suoi simpatizzanti.

Come mai? Banalmente, da un lato, la gestione fallimentare di Enrico Letta; dall’altro, una schiera di candidati-segretario di spessore discutibile.

Ma, oltre a non disporre di una classe dirigente di rilievo, oltre a non essere più il partito del popolo, oltre a non proporre che il nulla per il Paese il PD ha perso anche la titolarità della Morale e della Etica in contrapposizione ad una destra immorale, dittatoriale, illiberale; in una parola “fascista”.

Il Qatargate sembra aver dato un colpo mortale a tutta la sinistra (PD e Articolo1 di Roberto Speranza, in testa).

Il ruolo di traino della sinistra si sta progressivamente spostando dal PD al 5S, nonostante il trascorso burrascoso del Movimento, nonostante le figuracce inanellate dal Luigi Di Maio, nonostante Conte sia un politico per caso, nonostante il Partito Democratico abbia cavalcato i suoi argomenti più sofisticati come l’antifascismo.

È diffusa la certezza che dal Congresso Nazionale del PD, a osservare le schermaglie precongressuali infarcite del nulla, verrà fuori il solito topolino.

E, allora, sarà un problema per il futuro segretario e per tutto il partito.

Staremo a vedere.

Chi sono i candidati al ruolo di Segretario Nazionale?

Paola De Micheli, ex ministro delle infrastrutture e dei trasporti; Stefano Bonaccini, governatore dell’Emilia-Romagna;  Elly Schlein, ex vice di Bonaccini e ora deputato del Pd; Gianni Cuperlo, deputato.

La partita, però, è a due: Bonaccini e Schlein.

Infatti, Bonaccini ha il supporto della Toscana (Eugenio Giani, Governatore; Dario Nardella, Sindaco di Firenze); della Base Riformista di Lorenzo Guerini e, naturalmente, dei renziani. 

Elly Schlein ha il supporto di Goffredo Bettino, notabile PD; di Andrea Orlando, ex ministro del Lavoro e di Dario Franceschini, leader della corrente AriaDem. Quindi lotta fra riformisti/moderati e radicali.

Se vincono i primi (Bonacini) si avrà un PD filorenziano; se vincono i secondi (Schlein) si avrà un PD più a sinistra e più vicino al M5S.

Scissione in vista? Forse. In ogni caso, l’era del sofisticato e illiberale cattocomunismo nel PD sembra essere avviata alla conclusione. 

L’imbarazzo dei talk show e dei giornali amici della sinistra è evidente: chi sostenere fra i due contendenti?

Da una parte sembra ci sia l’odiato Renzi. Allora si va con la Schlein, ma con prudenza, molta prudenza.

Il fatto è che la Schlein si è iscritta al Partito Democratico pochi giorni fa e ne ha fatto parte per un paio d’anni, soltanto. È una arrivata dell’ultima ora.

In ogni modo, si cercherà di farne una eroina già definendola la “Meloni di sinistra”, dizione che fa intendere che la Sinistra vorrebbe una come la Meloni!

Ma si ha solo la Schlein, a disposizione. Perciò, è necessario trovarle una identità. Oggi è descritta come “comunista, anticapitalista, ebrea ma anti-israeliana, radical chic, …, attivista LGBT … etc.”: tanti attributi, nessuna identità.

Una identità che Lilli Gruber, che non è certo schierata nel Centro Destra, ha cercato di costruire, con scarsi risultati.

Infatti, a Otto e Mezzo, la Gruber l’ha intervistata.

Le ha chiesto “Lei è comunista?”.

Imbarazzo: “nativa democratica per ragioni anagrafiche (N.d.R.: 1985) … Non ho potuto appartenere alle storie precedenti ed al Partito Comunista italiano”. Tradotto: non sono comunista. Ma si è tradita subito perché ha tentato di spostare il discorso su Giorgia Meloni, sostenendo che la Giorgia non si sia mai dissociata dal mondo postfascista.

Non si sa cosa ci sia di male nel dichiararsi “comunista”; perché dunque mentire? Ma di certo c’è di male nel focalizzare su altri, peraltro assenti, l’attenzione con l’unico intento di screditarli e accusarli. Chi prendere di mira se non la Meloni?

E con ciò, proclamare il proprio antifascismo, sia quando il fascismo non c’è più; sia quando l’elettore lo ha sdoganato con il voto nelle politiche 2022.

Il PD non può fare a meno dell’antifascismo: è tutto quello che è rimasto, una stortura del suo DNA.

La Schlein, dunque? Buon sangue non mente: comunista purosangue!

Ma non è finita qui. Alla domanda della Gruber “Lei è anticapitalista?”, Schlein non risponde, è impacciata, forse non conosce cosa sia capitalismo, ma riesce, comunque, ad attaccare quotidiani liberali e conservatori, i quali rischiano di “condividere notizie che puzzano di sessismo, antisemitismo e omobilesbotransfobia”.

Per chi volesse approfondire la intervista può sempre rivederla in registrato.

Per il PD non si aprono scenari molto favorevoli ma, come detto, non è questione di contenitore, è questione di contenuto e di membri.

Antonio Vox – Presidente “Sistema Paese” – Economia Reale & Società Civile 

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