LA STRATEGIA POLITICA DEL “CAMPO LARGO”

Elly Schlein si è data molto da fare nel suo ruolo di segretario del PD.

È stata eletta, inaspettatamente, come se il popolo della Sinistra alle urne anelasse a nuovi e ariosi percorsi. Sembrava che ci dovesse essere una rivoluzione nella prospettiva politica del partito. Si respirava aria di nuovo, aria di novità, entusiasmo.

Il PD, fino ad allora, aveva perso tutte le elezioni pur riuscendo a rimanere al governo.

Il perché avrebbe dovuto essere chiaro: gli elettori non condividevano il disegno politico del partito leader della Sinistra e si rendevano conto di un immobilismo intellettuale sempre più insopportabile, mentre rimanevano gli strascichi delle posizioni manageriali conquistate.

Ma la nomenclatura d’allora, forse, non se ne rendeva conto o, semplicemente, era incapace di innovazione. Così ecco che arriva la Elly, foriera di vento fresco e speranza di un significativo rilancio.

Purtroppo, molto poco è cambiato. Manca del tutto, in questa nuova Sinistra, ogni barlume di idee e di visione politica dello sviluppo e del futuro.

Ma, se dal punto di vista dei contenuti, si è visto ben poco, il tema delle alleanze è diventato la stella polare e il mantra del partito democratico.

Così, questo tema è stato declinato come la strategia del “campo largo”.

Ma cosa significa “campo largo”? Significa mettere insieme più forze politiche per costituire, a Sinistra, una grande forza d’urto per strappare, alle elezioni, il Paese dalle grinfie del Centro Destra, sovranista e incline alla dittatura, vero anti europeista e anti atlantista, nonostante le sue dichiarazioni e espressioni di lealtà, tutte chiaramente ipocrite.

Detta così, la “strategia del campo largo”, perde molto della sua supposta valenza perché si traduce in un banale mettersi insieme per andare alle elezioni.

Quindi, il “campo largo” non ha nulla di strategico; è solo un fatto tattico ed opportunistico che appare essere, di per sé, caccia al posto pubblico: chiaro impedimento a qualunque buona iniziativa politica.

Ora è chiaro che, per andare a governare, le alleanze siano necessarie perché appare molto improbabile che una forza politica, da sola, possa ottenere la maggioranza assoluta: il 51%. Ma, anche se ci riuscisse, è del tutto inopportuno che il governo sia monocolore perché non durerebbe a lungo. Meglio imbarcare qualcun altro, riducendo così l’ampiezza dell’area di opposizione, per non subire attacchi concentrici e diversificati da tutte le opposizioni unite.

Ma, fare alleanza ha ineludibili vincoli: valoriali, di visione politica, di piattaforme progettuali, di equilibrio dei comportamenti, di divieto dei veti, di adottare una stella polare comune e condivisa.

Tutto ciò non appare nella “strategia del campo largo”.

Sembra piuttosto una ammucchiata.

Di questo s è accorto l’elettore, ma non la Schlein: NO, non se ne è accorta.

Guardiamo, però, l’applicazione pratica di questa “sorprendente e innovativa” strategia politica.

Come sono andate le elezioni con la tecnica del “campo largo”?

In Sardegna, con una affluenza del 51,9% (751.296 votanti su 1.447.753 aventi diritto) il “campo largo” ha totalizzato il 42,6% mentre il Centro Destra ha totalizzato il 48,8%.

Traduciamo: il “campo largo” non ha vinto. Ha vinto il Centro Destra.

Ma, per il voto disgiunto, il suo candidato (Paolo Truzzo, 45%) ha perso a favore del candidato del “campo largo” (Alessandra Todde, 45,5%).

L’elettorato non ha gradito Paolo Truzzo, sindaco di Cagliari, per l’acclarata inefficienza della sua amministrazione. Ma ciò non ha niente a che fare con la strategia della Schlein.

In Sardegna, la strategia di “campo largo” già mostrava le sue crepe strutturali, nonostante i proclami della Sinistra di un nuovo e vincente corso.

Nessuno lo ha capito? Sarà un problema di suggestione.

In Abruzzo, con una affluenza del 52,19% (630.605 votanti su 1.208.207 aventi diritto) il “campo largo” ha totalizzato il 46,5% mentre il Centro Destra ha totalizzato il 53,5%.

In Abruzzo non vige il voto disgiunto, quindi i voti delle coalizioni si riversano pari pari sui candidati. Pertanto ha vinto Marco Marsilio del Cdx a danno di Luciano D’Amico del “campo largo”.

Ma il “campo largo” era addirittura “larghissimo” che più non poteva. E, comunque, ha perso.

Cosa si può concludere? Che la strategia del “campo largo” o “larghissimo” di Elly Schlein ha fallito. In contrapposizione, Giuseppe Conte ha mezzo indovinato con la sua strategia parallela, per non essere da meno, del “campo giusto” che significa che i 5S fanno comunella con il PD quando gli conviene.

Su questo terribile dilemma per il Paese, interviene Romano Prodi che sentenzia che l’unica soluzione per vincere è che PD e 5S vadano uniti alle elezioni.

Non si capisce come la musa della Sinistra arrivi a questa conclusione.

C’è solo una questione in sospeso: quando i tre moschettieri, Conte, Prodi, Schlein parleranno del loro disegno politico per il Paese?

E, infatti, l’esito delle elezioni citate conferma la tesi, ormai più volte sperimentata, che il partito italiano più grande, sia in Sardegna che in Abruzzo, è quello dell’Astensionismo (48,1% in Sardegna, 47,81% in Abruzzo). Addirittura enorme in qualunque paese democratico pur facendo la tara dei vecchi, dei malati, dei pazzi e così via.

Il corollario è semplice: il sistema partitico italiano ignora deliberatamente la dimensione dell’astensionismo essendosi arroccato a difesa comune dei propri privilegi e rifiutando ogni new entry che possa diventare un competitor. In questo arrocco, non prende nemmeno in considerazione la necessità di costruire una prospettica, credibile, fattibile proposta politica: tanto i programmi elettorali non li guarda nessuno.

E, allora, la personalizzazione della politica e la “politica di relazione” prendono il sopravvento

Il controllo delle “truppe cammellate” è rassicurante e chi si avventura a votare, senza essere “cammellato”, vota come si fa al Festival di SanRemo o come si mette un like a qualche influencer: per simpatia, empatia, solidarietà, fiducia, sensazione o altro, che niente hanno a che fare con la politica.

Chi capisce questo ha fatto la metà dell’opera nella ricerca del voto.

In questo scenario cosa succede del “pensiero critico” e della “cultura”? Ma chi se ne frega: è un problema del popolo!

In questo scenario domina il senso della impotenza che, però, accende e acuisce la capacità e attitudine a salire sul carro del vincitore; cioè di chi si pensa che possa elargire qualcoisa.

La morale? Che c’è grande differenza fra una squadra di identità e una squadra di individualità. La prima ha probabilità di vincere, la seconda ha la certezza di perdere.

Antonio Vox

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