CONVERSAZIONE CRIMINALE

IL 19 Marzo 2024, a Giovinazzo, nella bella piazza Vittorio Emanuele II, abbiamo incontrato Domenico Mortellaro e abbiamo preso, insieme, un caffè. Chi è Mortellaro? Intanto è un giovane, del ‘79. A Bari, e non solo a Bari, lo conoscono tutti. Lui, sul suo profilo digitale, si definisce così: “Criminologo, scrittore free lance, creativo, foto amatore: 1000 interessi 100 passioni 10 amori ed io!”. Non c’è che dire: è uno che va controcorrente, capace cioè di adottare innovativi e inediti punti di vista, per arrivare a tesi sorprendenti; sempre, però, seguendo un processo scientifico di osservazione, ricerca e logica.

Abbiamo intrapreso una serrata “conversazione criminale”. Ci piace chiamarla così ma è ovvio che era una conversazione sulla criminalità.

Come è ovvio, d’altronde, che Domenico Mortellaro era un fiume in piena.

Ha cominciato col dire che la criminalità è una questione territoriale.

E, allora, che fa? Si specializza sulla criminalità barese e sulle differenze fra questa e le varie diverse criminalità territoriali.

Inizia subito con le sue definizioni. Dice, che la criminalità sociale non è solo quella mafiosa scrive; infatti scrive: “Criminalità politica … quella criminalità dei “colletti bianchi” che io sono abituato a nominare per nome e cognome con il termine “borghesia delle professioni” SONO COSE BEN DIVERSE dalla criminalità mafiosa”.

Questa definizione è, già di per sé, una bomba, figlia di un modello di società costruito sulla osservazione critica di numerose spie che non sono altro che punte di enormi iceberg dove si nasconde una diffusa esistenza di questa “nuova criminalità”.

Cerchiamo di capire cosa significa tutto questo.

Così, estraiamo, dall’ampia disamina del criminologo, un esempio chiarificatore: lo “Scenario Carminati”, quello della “terra di mezzo”, quello di Roma Capitale.

Lo “Scenario Carminati” suddivide la società criminale in tre strati: “i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo … la persona che sta nel sovramondo ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non le può fare nessuno …. il mondo di mezzo (terra di mezzo) è quello invece dove tutto si incontra”.

Nel sovramondo ci sono le posizioni politiche, quelle burocratiche, la profonda conoscenza di norme e leggi, le professioni, le imprenditorialità, gli affari. E’ un mondo di strategie e tattiche, dove ognuno gioca per sé, in proprio; dove impera il cinismo e vince il più bravo. E’ un mondo di sofisticate competenze e progettualità fra cui, non ultima, è la capacità di gestire la comunicazione. Proprio queste peculiarità lo differenziano dalla mafia che è, secondo Treccani, “Complesso di organizzazioni criminali … , diffuse su base territoriale, rette dalla legge dell’omertà e strutturate gerarchicamente”. Quindi, nel sovramondo, non c’è mafia ma ci sono individualità.

Nel sottomondo, invece, non c’è cultura, non ci sono titoli di studio, non c’è sofisticazione. C’è invece il ferreo controllo della organizzazione criminale, l’accaparramento senza scrupolo delle risorse di terzi, il pizzo, il dominio del territorio, la brutale prevaricazione sostenuta da violenza e, se necessario, dal sangue, la paura reale, la rozzezza.

E’ qui che alligna la mafia propriamente detta.

Il “mondo di mezzo” è il terreno dei faccendieri e dei sensali che hanno un ruolo prezioso: quello di creare contatti fra il sovramondo ed il sottomondo in maniera che le progettualità criminali possano acquisire le migliori opportunità di realizzarsi. Il “mondo di mezzo” è il fattore sinergico fra i due mondi.

Lo “Scenario Carminati” è un modello inquietante che descrive come può accadere che la società civile degeneri. Il modello spiega come sia difficile accedere a posizioni con il solo strumento del merito, come sia facile provocare la fuga di cervelli, come sia spiegabile l’astensionismo, come accade la mortificazione delle identità e delle libertà, come sia frequente schiacciare le dignità.

I due mondi si sorreggono a vicenda perché reciprocamente utili.

E allora le Mafie appaiono irriducibili, capaci di autorigenerarsi, capaci di trattare con lo Stato, inclini ad espandersi.

La Giustizia, in fin dei conti, se può poco nei confronti del fenomeno mafioso del sottomondo benché sia esplicito nei delitti, può nulla nei confronti della “criminalità politica” del sovramondo perché la mancanza di morale e una etica discutibile non sono punibili nell”ordinamento giudiziario.

Ma quale è lo strato più pericoloso?

Senz’altro il sovramondo perché appare per bene ed è capace di progettualità strategica e sofisticata.

Fin qui, abbiamo capito. Ma quale sarebbe la peculiarità della criminalità barese?

Torniamo a guardare il modello non più dal punto di vista statico ma dinamico.

Bisogna capire dove è collocato il “potere reale”.

Se il potere è collocato nel sottomondo, questo tenderà a “tracimare” nel sovramondo. Così, ad esempio, il sottomondo veste propri membri da politici o professionisti, e li colloca di sopra. Ma, allora, il timbro delittuoso, trasferito di sopra, è riconoscibile, prima o poi, e, quindi, punibile.

Se il potere è collocato nel sovramondo allora il problema è gravissimo perché sembra che la società funzioni nel migliore dei modi, democraticamente e in libertà. Il timbro delittuoso rimane confinato nel sottomondo e, quando perseguito, il sacrificio di quello strato salva il sovramondo.

E tutti sono soddisfatti e contenti.

Le progettualità del sovramondo sono disparate e sofisticate. Ad esempio, per costruire un mito di legalità basta denunciare qualche agnello sacrificale del sottomondo; oppure sollecitare lettere minatorie o addirittura attentati per avere una scorta. Per costruire un business, basta dimenticare di “fare qualcosa” o passare sotto silenzio una urgenza. Per far morire una opposizione basta lasciar trascorrere “a tempo indeterminato” il tempo oppure irretirla nella gabbia della burocrazia.

Ma, intanto, le discriminazioni aumentano, il disagio sociale si diffonde, i servizi civili perdono efficienza, la burocrazia imperversa, la società degenera, le mafie si espandono, il popolo si de-alfabetizza.

Ecco, questa è la teoria della criminalità politica di Domenico mortellaro.

Allora? Bari, perché è diversa? Perché, a Bari, il “potere reale” è concentrato nello strato superiore dove è ineguagliabile la capacità di esercitarlo.

Ma c’è un di più: questo “modus vivendi” è oltremodo virulento ed ha una capacità d’espandersi senza tema di confronti. Quando ce se ne accorge dagli effetti, è già troppo tardi perché la metastasi è troppo diffusa.

Se è vera la teoria di mortellaro, dovremo supporre che l’iniziativa di Piantedosi nel valutare lo stato di salute del territorio barese, a seguito dei numerosi provvedimenti restrittivi, morirà nel nulla perché non troverà Mafia nel Consiglio Comunale ma solo qualcuno che, eventualmente, abbia voluto strafare.

Antonio Vox

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