Non c’è nessuna speranza

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Non tutti ricordano che una dozzina di anni fa e per moltissimi lunghissimi mesi sembrava che il mondo dell’economia stesse venendo giù. Le grandi imprese come le grandi banche vedevano i loro titoli cadere rovinosamente in modo disordinato senza apparente fine. Sarà il nuovo Presidente americano, Obama, che inventerà una “dottrina” che semplicemente asseriva che quando si è troppo grandi non si poteva fallire. Questo veniva detto per rassicurare i mercati e cioè per dire agli investitori che potevano stare tranquilli: per i grandi -imprese e banche- i governi avrebbero speso la propria forza istituzionale per venire in loro aiuto; aiuto che significava spalmare sui contribuenti presenti e futuri le perdite che si stavano creando. Non veniva però detto che questo significava che qualunque cosa i management avessero fatto in termini di errori o di interesse privato gli sarebbe stato perdonato; né veniva detto che l’asse portante della economia mondiale diveniva in modo esplicito la piccola impresa (assieme al risparmiatore-consumatore) che diveniva centrale anche per la salvezza dei propri concorrenti più grandi.

Probabilmente queste considerazioni erano troppo sottili per chi declamava e sosteneva questa “dottrina” che era stata introdotta sulla spinta delle contingenze; “dottrina” che peraltro anticipava l’altra, sua fotocopia, che si stava preparando e che era rivolta alle Istituzioni europee e all’euro: “whatever it takes” (“qualunque cose serva” per salvare banche e euro) che sarebbe stata pronunciata per puro caso di lì a poco in Europa. Anche in questo caso il collasso dei potentissimi veniva scansato con l’aiuto della politica ipotecando i piccoli e piccolissimi che non hanno e non avevano santi in Paradiso per difenderli.
Né più, nè meno della disonestà intellettuale che ha fatto la fortuna di interi partiti.
Però l’alleanza di ferro tra politica e grandi imprese era divenuto -come è ancora- un fatto consolidato; così l’elettorato e il voto perdono di senso (tanto la politica favorevole alle grandi imprese rimarrà la stessa) e la democrazia viene, di fatto, abolita da quelle “dottrine”.
Nel contempo le grandi imprese, forti di nuove tecnologie e della connivenza dei media, si sono fatte prendere da un delirio di onnipotenza più che giustificato proprio da quelle “dottrine”. Il covid, vero o falso che sia, ha fatto il resto nel consolidare una situazione liberticida come non mai nella storia. Che si fa?

È evidente che se il contribuente garantisce con i suoi soldi la sopravvivenza dei grandi agglomerati aziendali lo stato dovrebbe poterci mettere il naso per accertarsi, prima di eventuali errori o interessi privati, che non si profitti di questa “dottrina”. A questo fine molti decenni fa in Italia si inventò per ovviare a questo problema, una figura ibrida tra pubblico e privato, come fu l’Iri, che permetteva allo stato di difendere gli interessi dei cittadini e di mantenere efficienza pur garantendo le grandi imprese.

Oggi quelle imprese grandi sono più forti degli stati e sono in grado di comperare, per contanti, interi Parlamenti; quindi uno stato “forte” magari “nazionalista” e cioè difensore di precisi interessi, che metta il naso in quelle imprese troppo grandi per fallire viene visto come fumo negli occhi e osteggiato ad ogni costo; quindi non c’è speranza, la dittatura della grande impresa alleata al potere politico è ormai totalitaria e globale; solo uno smottamento biblico rimetterà a posto le cose; e ci sarà.
Più presto arriva meglio è per tutti.

Canio Trione

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