Il domani è senza futuro?

Una domanda che comincia a circolare con insistenza nella società civile.
E, siccome di questi tempi, nell’ultimo secolo, tutto comincia in America per riverberarsi, poi, nell’altro occidente, andiamo a guardare lì cosa succede.

Vi ricordate l’American Dream? Il sogno americano?

Un comune sentire del popolo, fatto di valori come la democrazia, la libertà, i diritti, l’uguaglianza; l’anima feconda di una società nella quale l’intraprendenza, l’entusiasmo e l’incisività individuale consentivano, senza aiuti e sotterfugi, ogni possibile scalata sociale. Tutti uguali, tutti liberi.
La Libertà era interpretata come opportunità per una personale prosperità, per sé stessi, per i propri cari, e per la comunità.
Sono d’altri tempi le corse verso il far west per conquistare una terra con cui e per cui vivere.
Che ne è rimasto di tutto questo nella patria della democrazia liberale?
Quella epopea non c’è più; tutti quegli ampi territori di conquista e libertà sono oggi recintati.

Eppure, il “siamo tutti uguali” è una frase potente, ricca di significati, cornucopia di contenuti, incipit della crescita. Bastava gridarla per generare entusiastica voglia di fare. E’ sempre stata il mantra della politica, delle religioni, delle genti. Non dovrebbe funzionare ancora?

Sembra di no perché quella frase ha, in sé, qualcosa di sinistro per la civiltà.
La Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, del 4 luglio 1776, dichiara che “tutti gli uomini sono stati creati uguali”.
Ma, con una visione degna di un veggente, addirittura nel 1961, nel suo racconto “Harrison Bergeron”, lo scrittore Kurt Vonnegut, immaginava una America del 2081, nella quale esisteva la figura di un “Compensatore Generale” la cui funzione era applicare la Costituzione alla lettera.
Lo faceva imponendo, d’autorità e senza appello, e in ossequio ai dettami costituzionali d’uguaglianza, una penalità, ai cittadini più dotati e capaci, per impedire che prevalessero sugli altri.
In altri termini, la frase “tutti gli uomini sono stati creati uguali” doveva essere rispettata per come era scritta.
Uguali, tutti, dalla nascita alla morte. Ogni diversità punita e cancellata. L’individualità considerata peccato originario.
Il merito, la cultura, le attitudini, senza significato; anzi disturbo sociale.
Nemmeno le pecore di un gregge sono così uguali. Questa la visione preveggente di Kurt Vonnegut.

Se riconsideriamo, oggi, quella frase del “siamo tutti uguali”, non solo riferita all’America ma anche al nostro Paese, allora non possiamo non constatare che la visione del Vonnegut si sta avverando.
Infatti, non rileviamo forse una uguaglianza appiattita verso il basso, l’inesorabile dissolvimento di ogni possibilità di mobilità sociale e il predominio della quiete su ogni dinamica, senza gli entusiasmi di vita?
Non è, forse, questo il percorso evolutivo della nostra società?
E’ forse il preludio di un domani senza futuro?

Il virus è stato inoculato dalla iniziativa 5S con lo slogan “uno uguale uno”: una coltellata, a tradimento, alle spalle di una società civile in difficoltà.

Cari signori, non dovremmo reagire?
Non dovemmo recuperare il senso della nostra identità e dignità?
Non possiamo non domandarci: ma siamo veramente tutti uguali?

Se si, se siamo tutti uguali, come mai le disuguaglianze aumentano?
Come mai i nostri giovani sono costretti ad emigrare?
Come mai certi percorsi sociali sono aperti solo per pochi?
Come mai il valore del merito e della individualità non conta più nella scale dei valori?
Come mai è diventato difficile “fare impresa”?
Come mai la discriminazione imperversa?
Come mai vengono negati diritti acquisiti?
Come mai si assiste al dilagare dell’astensionismo?
Come mai domina l’ignavia, l’indifferenza, l’apatia?

Ciò potrebbe essere effetto di una narrazione, insistente e perniciosa, che trova il sostegno nella filosofia sociale dello “uno uguale uno” che toglie ogni ambizione. Però, pur nell’uso dello stesso glossario di uguaglianza ha il significato opposto al “siamo tutti uguali”.
Mentre la prima, “uno uguale uno”, intende che chiunque può fare tutto, indipendentemente da nozione, cultura, attitudine, merito, etc; la seconda, “siamo tutti uguali”, intende una uguaglianza nei diritti civili e nei doveri civili, non certo nelle individualità.

Ma, allora, come mai constatiamo che le preveggenze di Kurt Vannegut si vanno avverando?
Perché lo vediamo da due spie significative:
– il numero di diritti va aumentando mentre quello dei doveri va diminuendo. Ma un diritto che, invece del corrispondente dovere, definisce una sanzione, è un diritto fasullo. Forse, ci stanno prendendo in giro.
– le due dizioni “siamo tutti uguali” e “uno uguale uno” si vanno fondendo perdendo quella fondamentale dicotomia naturale. E’ come avere un solo sesso, dai due originali.

Troppa confusione. Abbiamo bisogno di fare chiarezza; perciò, dobbiamo svegliarci.

Antonio Vox

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