I nuovi assetti di TIM S.p.A.

TIM SpA è l’approccio attuale di una storia delle telecomunicazioni italiane lunga un secolo.

Cominciò l’8 febbraio 1923 quando il governo Mussolini, con il decreto legge N. 399, creò cinque “zone geografiche di telecomunicazione” gestite da cinque operatori: STIPEL (Nord Ovest); TELVE (Nord Est); TETI (Centro Italia superiore); TIMO (Centro Italia inferiore); SET (Meridione).

Da allora, attraverso varie ristrutturazioni, diverse denominazioni, e subendo “la madre di tutte le privatizzazioni”, siamo oggi a TIM SpA dopo che, il 13 gennaio 2016, l’azienda ha rinunciato definitivamente al marchio storico Telecom Italia SpA.

L’azienda, presente in Brasile e San Marino, è, per fatturato, il settimo gruppo economico italiano e tra i primi cinquecento mondiali.

Ma perché stiamo scrivendo di TIM?

Perché TIM SpA Tim, al 31 dicembre 2023 accusava un indebitamento finanziario netto di € 20,8 mld, aumentato di € 0,8 mld rispetto all’anno precedente: un fardello insopportabile che conduce alla asfissia degli investimenti in un settore strategicamente innovativo.

Un debito nato, negli anni ‘90, figlio della “madre di tutte le privatizzazioni”, e regalato all’Italia dalla politica.

Non c’è dubbio che i nodi vengano tutti al pettine. In Italia, la politica è capace di distruggere, rendendoli evanescenti, i gioielli. Ecco che siamo di fronte alla ennesima ristrutturazione.

TIM SpA detiene e gestisce la rete di accesso primaria, in rame e fibra ottica, (quella che arriva fino ai “cabinet”, gli armadietti di distribuzione collocati sui marciapiedi); gli accessi a internet (con velocità maggiori di 30 Mbps); la rete di accesso secondaria, in rame e fibra ottica (quella a valle dei “cabinet” detta anche “ultimo miglio”); la società Sparkle (soluzioni di “global communication” – rete in fibra di circa KM 550.000 che garantisce i collegamenti internet tra Europa, Africa, Americhe e Asia).

La rete primaria è tutta TIM; quella secondaria è di Fibercop (per il 58%, Kkr per il 37,5%, Fastweb per il 4,5%).

Kkr è un operatore americano di private equity (fondo statunitense, nato nel 1976, di dimensioni significative e di interessi multi settoriali, presente in 16 paesi e 4 continenti).

L’idea sarebbe quella di mettere tutta questa roba in una nuova azienda NETCO (magari evitando di trasferire gli accessi internet e Sparkle) e vendere il pacchetto di maggioranza.

Solo il valore della rete primaria sembra si aggiri sui € 20 mld.

TIM, così, potrebbe, se non azzerare l’enorme debito, almeno ridurlo a dimensioni gestibili.

L’operazione, se è da fare, va fatta con discreta sollecitudine perché l’attuale indebitamento finanziario ha una caratteristica: cresce di circa € 1 mld annuo.

Cosa dice il governo?

Sembra che sia il promotore della operazione.

Infatti, il 28 agosto scorso, dopo il mese delle ferie, il primo CDM ha autorizzato il Ministero dell’Economia a entrare in NETCO assegnando un investimento di massimo € 2,2 mld, con una quota presumibile compresa tra il 15% e il 20%.

Questa è la sintesi del progetto di Pietro Labriola, amministratore delegato di TIM che ha dichiarato in audizione che: “Tim è un’azienda industrialmente sana che però soffre per il fardello del debito che deve ormai essere risolto strutturalmente”.

Ed ha ragione perché, con l’immobilismo, il debito si mangerà tutta l’azienda.

Ma qui cominciano i problemi.

Cedere un asset strategico per il Paese, fonte di business, di sviluppo, di innovazione, sistema nervoso per una comunità, non è una questione di poco conto. D’altro canto, però, TIM è costretta a cedere i propri asset per quanto abbiamo visto finora.

Infatti, tutto passa dal successo di un accordo TIM-Kkr.

In contemporanea, dovrebbe scattare il piano politico che, per quanto si è capito, possiamo riassumere in due punti:

1. Introduzione del Golden Power per evitare che gli interessi e la sicurezza nazionale siano messi in pericolo. Questo è il senso del CDM del 28 agosto e della partecipazione del MEF alla operazione.

A questa partecipazione si affiancherebbero la Cassa Depositi e Prestiti (dal 3% al 5%) e F2i (Fondi di risparmi Italiani per le Infrastrutture, fondata nel 2007 da Cassa depositi e prestiti, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Vito Gamberale).

Obiettivo: raggiungere il 35% di NETCO lasciando a Kkr il 65%.

2. Sottoscrizione (10 agosto 2023) di un accordo MEF-Kkr che prevede l’acquisizione del 35%, come sopra descritto, e l’obiettivo dichiarato, come dice il ministro Urso, di: “realizzare non una rete unica, ma una rete nazionale a controllo pubblico che copra al più presto tutti gli ambiti del nostro territorio, soprattutto quelli più svantaggiati“.

Sulla base di questi presupposti, Kkr è stata invitata a presentare, non oltre il 30 settembre 2023, una offerta vincolante per l’acquisto del 65% di NETCO.

Il nodo da sciogliere è Vivendi che possiede il 24% di TIM e che valuta la rete ben € 31 mld. Il suo potere di veto, in assemblea, è realmente un problema.

Settembre è il mese critico per l’operazione che, prevediamo, dovrà passare anche da una stretta di mano fra Macron e Meloni.

Antonio Vox

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