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CRT, Teoria Critica della Razza

26 Aprile 2022 Massimo Gardelli No Comments POLITICA

Antonio VoxCritical Race Theory, marketing sociale, mike pompeo, razzismo

Cosa è dunque la CRT? Riferiamoci a Mike Pompeo, l’ex segretario di Stato USA. In un suo sconvolgente commento ha scritto che la Critical Race Theory “fa parte del tentativo della sinistra radicale di iniettare il socialismo in ogni aspetto della nostra vita e indottrinare la prossima generazione di americani”.
In altri termini ha denunciato l’uso di marketing sociale, subliminale e induttivo, per diffondere nella società il virus della CRT.
La teoria è nata ufficialmente nel 1989, anche se i prodromi datano qualche decennio prima, quando è sbarcata nel sistema formativo statunitense, specialmente nelle scuole materne, primarie e secondarie; non a caso quelle della impostazione sociale.
Numerosi Stati ne hanno vietato l’insegnamento ma oggi appare essere “l’ideologia predefinita nelle istituzioni pubbliche” degli USA e la sua applicazione, sebbene non se ne abbia consapevolezza, la ritroviamo in numerosi Paesi compresa l’Italia.
Facciamo una doverosa premessa.
Il termine razzismo affonda le radici nell’idea pregiudiziale, scientificamente errata, che la specie umana sia classificabile in razze biologicamente distinte, con differenti livelli di intellettualità.
Da qui la suddivisione in razze superiori e inferiori e tutto quello che ne consegue.
In effetti, il razzismo è un fenomeno antico di discriminazione dei ‘diversi’ che conduce facilmente alla loro oppressione.
Molti sono gli studi sulla psicologia del razzismo.
La lotta al razzismo è ben nota a tutti: una società civile dovrebbe considerare un dovere il rispetto di qualunque identità e la uguaglianza dei diritti.
In sostanza siamo in presenza di una doverosa marcia verso l’equilibrio dei popoli. Ma la CRT, la Teoria Critica della Razza, va oltre, portando il pendolo sul versante opposto e ribaltando drasticamente i termini storici.
Essa, infatti, dice che: – il razzismo non è semplicemente effetto di pregiudizi psicologici di natura individuale, ma è una struttura socialmente e culturalmente costruita al solo scopo di opprimere e sfruttare i “diversi” -.

Questa impostazione, insiste la teoria, si riscontra anche intrinsecamente nella legislazione che favorisce le disuguaglianze socioeconomiche e politiche fra diversi.
Negli USA ci si riferisce, ovviamente, a “bianchi” e “non bianchi”; ma è facilmente estensibile a tutti i “diversi”.
È chiaro il potenziale distruttivo di tale Teoria. Si punta a classificare, inequivocabilmente, i “bianchi” come “oppressori”; si punta a colpevolizzare e sottomettere l’oppressore; si punta, stranamente, ad una nuova discriminazione; si punta ad un nuovo razzismo. Questa volta rovesciato.
Ma cosa succede realmente in USA?
Molti sono gli esempi; ne riportiamo alcuni, riferiti da Christopher F. Rufo (redattore di un suo personale dossier di oltre 1000 casi) sul New York Post (7/2020; 5/2021) che hanno dell’incredibile. Eccoli:
• ll Dipartimento di Homeland Security afferma che i dipendenti bianchi commettono inconsapevolmente “micro iniquità” e sono strutturalmente “socializzati come oppressori”;
• il Dipartimento del Tesoro tiene sessioni formative dove sostiene che “praticamente tutti i bianchi contribuiscono al razzismo”;
• I Sandia National Laboratories, centro USA di ricerca nucleare, invia i dirigenti maschi bianchi, automaticamente assimilati al KKK, in un campo di rieducazione di tre giorni;
• a Springfield, Montana, una scuola media costringe gli insegnanti a collocarsi in una “matrice di oppressione” e ad espiare la loro colpa basata sul loro privilegio di “supremazia bianca nascosta”;
• a Seattle, il distretto scolastico accusa gli insegnanti bianchi di essere colpevoli di “omicidio spirituale” contro i bambini neri.

Sembra una pazzia da non credersi: essere “bianco” significa, pregiudizialmente, essere “oppressore”.
Rufo scrive: “dalle università alle burocrazie ai sistemi scolastici, la teoria critica della razza ha permeato l’intelligenza collettiva e il processo decisionale del governo americano, senza alcun segno di rallentamento”.
Il 1° dicembre, sul blog di Nicola Porro, appare un articolo intitolato:
“Follia Canada: i voti dei bianchi contano meno; secondo il regolamento di un sindacato canadese i voti dei non-bianchi valgono di più degli altri”.

Sotto il commento che la democrazia lì, in Canada, non è altro che il “sistema per perpetuare il suprematismo bianco”, l’articolo cita che il sindacato degli insegnanti della provincia dell’Ontario (65 mila iscritti) ha deciso di porre rimedio a questa storica ingiustizia deliberando che i voti dei bianchi varranno di meno nelle votazioni interne; in particolare la semplice presenza dei non bianchi vale sempre il 50% dei voti totali.
Il sindacato fa pure un esempio di applicazione della norma.
Una proposta, presentata ai 20 membri del consiglio direttivo del sindacato, viene rigettata con 13 voti contro 7. Nei 7, ma non nei 13, ci sono “non bianchi”, in particolare 4 unità.
Pertanto, la proposta passa con il “punteggio finale” di 13 a 17; dove 17 è la somma del 50% dei voti totali (10; secondo la norma citata 20:2=10) più i 7 individuali.

Se questo significa inclusione e integrazione, secondo l’incredibile pensiero di una parte, c’è da stare allegri!
Chiaramente, in Canada, si sta scatenando il finimondo; ma, purtroppo, è un finimondo che si scatena a cose fatte!
Come mai, ci si dovrebbe chiedere, si è lasciato che si arrivasse fino a questo punto? Frutto di superficialità dei “bianchi”?

Fra i commenti all’articolo si legge: “La sinistra non è mai stata così potente da quando è rimasta sepolta sotto le macerie del Muro di Berlino e si è opportunamente posizionata nei posti che più contano e nei salotti buonisti scagliando prediche contro tutti, a turno, ma sempre a favore di chi la vota”; “Sembra che i diritti umani valgano a senso unico”.

Se ci dedichiamo appena al nostro Paese, l’Italia, di lamentele in questo senso se ne riscontrano parecchie: dalle polemiche sul crocefisso a quanto è permesso e concesso ai “diversi” in barba a ogni criterio di uguaglianza civile.
La discriminazione che, quando è incisiva, è pari al razzismo, ora funziona in senso inverso, alla grande.
La cronaca descritta dimostra quanto sia efficace ed efficiente il marketing sociale, per buona parte subliminale, sostenuto da una “corrente culturale”, meglio definirla “militanza”, di una area di professionisti che sembra avere il mandato di stravolgere la società civile verso l’appiattimento delle identità, verso la negazione della “democrazia bianca”, verso una nuova specie di razzismo.

Ma quale è la proteina spike di questo virus? La sua chiave d’accesso alle menti? Senza ombra di dubbio la chiave sono i concetti di “buonismo” e “solidarietà”, puri sentimenti personali ed estranei alle Istituzioni. Essi sostituiscono, plagiando e senza barriere all’ingresso, la civile e asettica equipollenza dei diritti individuali.

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