La caduta dei miti

L’umanità ha sempre avuto il chiodo fisso di lasciare un ricordo di sè ai posteri rendendosi schiava di un’affannosa ricerca di gesta emblematiche che rimanessero incise nella storia. Credo che, pur ammettendo che questa esasperata ricerca abbia portato e possa portare a gesta e scelte inconsulte, come tutti riferimenti esistenziali, il mito abbia ed ha meriti sociali per la nostra evoluzione.

Volendo fare esempi emblematici, il mito di Re Artù racchiude una serie di messaggi morali ed etici che difficilmente sarebbero stati assorbiti in seguito a qualche dichiarazione di politico, o sociologo, o filosofo illuminato.

Penso che saremo tutti d’accordo nel constatare che nell’immaginario collettivo i miti, facendo una valutazione costi/benefici, risultano vincenti come stimolo positivo a evolverci, sia in senso sociale sia in quello culturale; ormai essi appartengono ai “patrimoni immateriali” delle varie etnie, nazioni e popoli.

Alla stessa stregua possiamo valutare le leggende che non solo contengono ricordi del passato storico dei popoli, ma veri e propri messaggi ai posteri di civiltà passate. E’ ormai accertato il contenuto scientifico di molte leggende, presenti in tutte le culture e religioni del pianeta, che raccontano di eventi catastrofici (il diluvio universale) o addirittura messaggi scientifici. Su quest’ultimo punto, studiosi di numerologia e alcuni archeologi concordano sull’importanza scientifica delle favole e leggende per capire meglio i nostri antenati e la nostra evoluzione.

In tempi più recenti, a memoria generazionale, questi concetti possono essere interpretati dai “riferimenti” sociali che sono stati sempre una forma di guida, se non una sicurezza, che ci accompagnano nella nostra vita; e questi “luoghi sicuri” della nostra memoria sono stati, fino ad ora, il testimone della staffetta generazionale che ha sempre accompagnato per secoli la nostra crescita. Faccio due esempi su tutti per intenderci:

Il parroco e l’oratorio, terra di nessuno e di tutti, di figli di cattolici e comunisti che giocavano a pallone insieme e che da grandi magari si sarebbero presi a pugni, ma fondamentalmente con un comune denominatore di una infanzia condivisa (Peppone e Don Camillo)

Il medico di famiglia, che a tutte le ore, con pioggia e vento, a piedi, in bicicletta o in auto, veniva a tranquillizzare i genitori e a curare il bambino febbricitante.

Tutto ciò sta scomparendo, i miti vengono sostituiti con business plan inverosimili e spesso disattesi, le leggende da “agende” promulgate da pazzi invasati e seguite da una elite altrettanto pazza e invasata se non perversa.

Ecco che i nostro RIFERIMENTO storico del luogo dove la maggioranza degli over ’60 ha passato l’infanzia socializzando nell’oratorio viene sostituito dai social e metaverso, ecco che l’onnipresente medico di famiglia viene sostituito dal Pronto Soccorso per le urgenze o da un appuntamento in ambulatorio a settimane di distanza preso con un call center o con uno spid.

In questi giorni ricorrono due giornate che sono state un riferimento per le generazioni del dopo guerra: il 25 Aprile e il Primo maggio.

Nella prima giornata, milioni di persone in varie generazioni hanno ricordato ogni anno 54 mila partigiani italiani, 290 mila soldati americani e 8 Milioni e 800 mila soldati russi che hanno tutti contribuito a salvarci da una demenziale follia a cui il nostro Paese aveva aderito. Non saranno sufficienti le patetiche voci negazioniste a cancellare questi che non sono numeri ma persone, padri e figli morti per errori voluti e decisi dai soliti pochi che hanno creato una tragedia ancora viva nelle carni delle famiglie e che stanno ostinatamente ricreando.

La Festa dei Lavoratori vedrà a Roma I sindacati capeggiare una manifestazione che auspico vada deserta a testimonianza che la categoria festeggiata si sia resa consapevole del tradimento delle associazioni che la rappresentano i cui capi (con stipendi astronomici) invitano alla ribellione per contratti di lavoro ormai dimezzati nel loro potere d’acquisto. Sono le stesse associazioni assenti nel silenzio assordante di un demenziale Job Act assassino dei diritti dei lavoratori che ha ridotto al lumicino i numeri dei contratti a tempo indeterminato rimpiazzati da altri più opportuni non certo ai lavoratori, bensì ai loro datori. Lo stesso silenzio che ha fatto da spettatore passivo alla cancellazione dell’articolo 18, certamente assurdo nella configurazione e applicazione, ma sicuramente non da cancellare, certamente da modificare.

In tutto questo la scomparsa di un altro grande riferimento che ha accompagnato la nostra società del dopo guerra: La sinistra, rimpiazzata da un partito che se ne arroga la rappresentanza e i cui dirigenti sembrano usciti da un romanzo orwelliano e che si pavoneggiano nelle neo cariche ricevute dal partito mentre una Regione, emblema passata della efficienza egualitaria, si contorce tra scandali e sanità commissariata. Quella stessa Regione dove il mito di Peppone e Don Camillo riusciva a far coesistere il diavolo e l’acqua Santa e le divergenze potevano venire spianate sedute a un tavolo con un buon bicchiere di lambrusco.

Non è un caso che in Italia siano triplicati i consumi di psicofarmaci e ansiolitici. La perdita di punti fissi, in mare si chiamano punti cospicui di cui fanno parte, appunto, anche i fari. Se spegni i fari che hanno fatto da riferimento nella navigazione della nostra vita, prima o poi si va a scogli e ora, nella notte delle idee e nel mare del nulla, il pericolo è imminente.

                                                        Massimo Gardelli

 

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